Pare che il problema delle bugie emerga alla vista dei genitori, per così dire, durante l’infanzia e solo se supera una certa frequenza che noi genitori consideriamo fisiologica.
Ovvero ogni genitore ha un proprio rapporto con la bugia, considera alcune bugie tollerabili, altre intollerabili e quindi punibili.
Così come il loro numero viene considerato accettabile fino ad una certa soglia ed inaccettabile quando la frequenza delle bugie supera la soglia suddetta.
Nel tempo generalmente questo rapporto cambia nel senso che le bugie dei bimbi piccoli ci sembrano in genere poco preoccupanti, quasi divertenti a volte per la loro ingenuità e tutto sommato quasi inevitabili se si pensa che per qualche anno, la differenza fra realtà e fantasia tende ad essere abbastanza sfumata.
Più il bimbo cresce e più ci aspettiamo che sia in grado di distinguere fra realtà e finzione, di capire il senso amorale della bugia e quindi di adeguarsi agli standard di onestà che per noi sono importanti.
Qui si introduce nella nostra riflessione un punto fondamentale: quali sono per noi gli standard morali? Quale rapporto abbiamo con il concetto di onestà e soprattutto come lo mettiamo in pratica ogni giorno, nelle piccole e grandi azioni quotidiane?
Spesso infatti facciamo ricorso alla “predica” di quanto sia sbagliato mentire, senza renderci conto che noi stessi, come genitori, mentiamo molto più spesso di quanto si voglia ammettere.
Pare quasi che il concetto di moralmente accettabile sia diverso se riferito gli adulti piuttosto che ai nostri ragazzi. Ciò che per noi quindi è tollerabile, perché dettato da necessità, da vincoli o da eccezioni che ci concediamo con manica spesso molto larga, viene censurato e aspramente rimproverato ai nostri ragazzi.
Facciamo qualche esempio: quante volte non rispettiamo il codice della strada e magari, di fronte ad controllo, mentiamo adducendo scuse pur di non prenderci la sacrosanta multa?
Quante volte inventiamo scuse per non partecipare ad eventi sociali che non ci interessano o mentiamo al telefono ad un venditore per risolvere velocemente la faccenda senza troppe spiegazioni?
Quante volte cerchiamo di trovare la strada più semplice, meno onerosa o impegnativa di quella che sarebbe giusta, per ottenere ciò che vogliamo?
Nella cultura italiana il ricorso alle “conoscenze” che ti possono spianare la strada, agli escamotage per evitare prove e trafile impegnative è ormai un dato di fatto, come dimostra il proverbio “ Fatta la legge, trovato l’inganno”.
Stupisce poi che ci si arrabbi quando anche il nostro pargolo inizia a mettere in pratica, magari piuttosto precocemente, i nostri stessi artifici.
Se l’importante è ottenere e non il modo in cui si ottiene, perché rimproverare allora lo studente che copia, che si fornisce di bigliettini e che magari attraverso mezzi non certo leciti, si procura in anticipo le domande delle prove?
Se l’importante è ingannare, magari con false dichiarazioni, l’autorità (vedi ad esempio il Fisco), come stupirci se i nostri figli iniziano a mentire anche a noi, che rappresentiamo per loro l’autorità?
Per un bambino è difficile, tanto più se non lo spieghiamo, distinguere le bugie cosiddette innocue, dette a fin di bene, dagli inganni e dalle bugie condannabili. Fino ad una certa età la bugia è una bugia sempre e comunque.
Il modo principale di apprendere dell’essere umano è attraverso l’osservazione e quindi è fondamentale che si abbia, come genitori, la capacità di osservarci ed ascoltarci senza scuse, per capire quanto il nostro comportamento possa indurre i nostri figli a ritenere scusabili e tollerabili le bugie.
Anche l’abitudine di NON DIRE alcuni aspetti delle questioni, ovvero tacere su argomenti specifici, abitudine piuttosto diffusa nelle famiglie, può creare i presupposti per incoraggiare quel tipo di bugia su cui spesso nei ragazzi c’è confusione, poca chiarezza. Ovvero non dire una cosa è dire una bugia o no?
In una ricerca americana, si è cercato di capire come la pensassero i bambini ed i ragazzi su questo tema, sottoponendoli ad una sere di situazioni a cui dovevano dare una risposta del tipo “ E’ una bugia o no?”.
Una di queste situazioni è la seguente: “Un bimbo (o una bimba se lo si chiede ad una bimba) aveva giocato con lo stereo dei genitori, anche se i genitori gli avevano detto di non toccare l’apparecchio quando loro erano in casa. Senza volere il bimbo rompe lo stereo e ha quindi paura che i genitori lo puniscano appena accorti del fatto. Quando tornano a casa i genitori accendono lo stereo, ma non funziona. La sera a cena chiedono:” Qualcuno sa cosa è successo allo stereo? “ Guardando in faccia il bimbo/a, ma lui/lei non disse nulla.
Alla fine del racconto chiedete se secondo lui/lei il bimbo/a della storia avesse mentito non dicendo nulla.
Il risultato può essere interessante e dare soprattutto l’avvio di una discussione su cosa si intenda per bugia e se si mente anche quando non si dice una parola.
Il tema delle bugie in famiglia è uno dei temi maggiornemnte sentiti e riproposti nei percorsi di formazione e nella consulenza allo sviluppo.
Nonostante questo sembrerebbe che in famiglia sia un argomento che non merita la dovuta attenzione, in termini di chiarimenti e comunicazione se non quando si presenta, in genere durante la preadolescenza e adolescenza, attraverso episodi di una certa gravità.
Qual’è la vostra esperienza?
Nel prossimo post sarà dedicata la discussione del fenomeno delle bugie in adolescenza.
Vuoi saperne di più? Contattami! annarita.bergianti at gmail.com